
Dogman
- Marco Gisotti
- 1 set 2023
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 9 set 2023
Dogman di mestiere fa la drag queen. Una sera alla settimana in un locale. Il resto dei giorni non ha bisogno di lavorare perché ha i suoi cani – la sua banda di cani - che lo sostengono.
Ma Dogman è anche un giovane disabile. È un criminale. È una persona alla quale è stato inferto troppo dolore perché possa ancora amare gli altri esseri umani.
Dogman è uno di quei personaggi impossibili che popolano la filmografia di Luc Besson in un film che parte come un poliziesco americano e che poi prende mille vicoli diversi. Un dedalo come la casa in cui vive il protagonista, interpretato da Caleb Landry Jones, che è, insieme al regista, l’altra pietra angolare di questo film. Potrebbe essere la versione morale di Joker (citato esplicitamente in certi primi piani) dove, però, al delitto, in Besson, segue inevitabilmente il castigo.
Condannato fin da bambino da un padre violento, che lo tiene in gabbia con i cani finché non lo mutilerà per sempre, è la storia di un riscatto impossibile. Di una passione, in senso cristologico, che lascia salve solo le vittime e i cani nella che ne possono diventare gli angeli custodi.

Un protagonista asessuato per disperazione, la cui interpretazione en travesti è solo una delle tante possibili maschere da indossare per nascondere il dolore. Per fingersi altri, o altro, come fanno gli attori. Ma è anche il modo di liberarsi dalle catene della sua disabilità. Fra le maschere che Dogman calza, non c’è dubbio che è in quella di Edit Piaf che protagonista e film prendono il volo.
Non, Je Ne Regrette Rien, se ci pensiamo bene, è la più bella frase che un eroe tragico possa mai interpretare.
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Marco Gisotti
Giornalista e divulgatore
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