
God is a woman
- Stefania Marra
- 31 ago 2023
- Tempo di lettura: 2 min
Il primo film di questa mia nuova avventura in laguna è in realtà un documentario, "God is a woman", che ha aperto la 38a Settimana Internazionale della Critica. Molto brevemente (la sinossi completa è qui), il regista svizzero-panamense Andrés Peyrot ha scoperto per caso dell'esistenza di un vecchio documentario sul popolo Kuna girato, nel 1975, dal regista premio Oscar Pierre-Dominique Gaisseau. Opera andata smarrita per decenni, per poi ricomparire a Parigi. Su questa vicenda, e soprattutto sull'importanza e sul significato che questo primo documentario ha avuto ed ha per i Kuna, Peyrot ha lavorato ben 10 anni, coinvolgendo i protagonisti nella lavorazione e nell'analisi del valore storico, sociale e politico dell'opera.

Dopo i primi minuti di disorientamento, la visione diventa avvolgente. Il continuo rimando al passato, il valore della memoria messa su pellicola (per quanto da uno straniero con uno sguardo "esotico", come sottolineano gli autoctoni), la scoperta di riti e stili di vita - anche contemporanei - assolutamente lontani da noi, la coscienza di un popolo che, forse non solo a livello emotivo, percepisce con forza l'importanza di vedersi lì su uno schermo: sono tanti i livelli di lettura e gli spunti di interesse di "God is a woman". Alcuni passaggi sono poi particolarmente toccanti (ad esempio lo sguardo della giovane donna che ritorna a casa dopo 22 anni proprio per vedere questo mitologico film, ed assiste alla sua cerimonia di passaggio alla pubertà), altri inducono alla riflessione: come quando i testimoni diretti del primo documentario raccontano che, nel filmare questa cerimonia, il regista fece allontanare dal corteo un gruppo di donne perché portavano delle bottiglie di plastica, cosa che a suo avviso in Europa avrebbe minato il valore "indigeno" del popolo filmato: come se noi non potessimo evolverci e cambiare, commenta un Kuna. A tal proposito, lo stesso Peyrot ha sottolineato che dal punto di vista etnografico il primo documentario ha dei limiti, ossequiando "certi dogmi dell'epoca, come il mito romantico della scoperta di popolazioni completamente tagliate fuori dal progresso, cosa che ovviamente in questo caso non è".

Questa opera conserva il titolo originario dato da Gaisseau, che riteneva la popolazione Kuna di stampo matriarcale. Secondo Peyrot invece si tratta di una spiritualità più fluida, improntata ad una costante dualità tra forza maschile e femminile. Anche se è vero che le cerimonie di iniziazione sono riservate alle donne, e sono le donne ad avere la proprietà dei terreni.
Opera di nicchia, ma meriterebbe di trovare spazio quanto meno sulle piattaforme, se non proprio a cinema.
Alla fine della proiezione il regista si è fermato per un breve intervento, ecco il video
(per adesso grezzo).
Comments