Caducità
- Stefania Marra
- 11 ott 2020
- Tempo di lettura: 4 min
Durante il lockdown, ho scritto alcune riflessioni che ho raccolto sotto il titolo di Cronache dal mondo di dentro (alcune sono state pubblicate su Facebook). Quella che segue è dell'11 marzo.
Oggi mi sento strana, diversa. Sono piena di energia positiva e avverto che tutto dentro di me è in operosa attività: sento il sangue scorrere cantando, il cervello andare a pieno regime, e purtroppo anche lo stomaco richiede più carburante del solito per sostenere tutte queste attività. Potrebbe sembrare blasfemo, nel contesto che stiamo vivendo, ma io mi sento felice, oggi. Ed è molto strano, molto molto strano, anche perché solo una ventina di giorni fa passavo la giornata a letto a piangere dal profondo del cuore, chiusa in un pozzo che sembrava senza uscita e in cui non filtrava neanche una lama di luce.
E invece oggi, con il mondo che crolla alle mie spalle come nei migliori film apocalittici, io sono felice.
Mentre stendevo i panni, pensando a questa bella giornata di sole, mi chiedevo perché. E la risposta era lì, tra i calzini spaiati e le magliette accartocciate, e aspettava solo che io la cogliessi…
Fermatevi, andate più lentamente, assaporate le cose, siate nel momento. Ce lo ripetono da millenni filosofi, terapeuti, ambientalisti, buddisti, poeti, e anche le nonne. Ora siamo fermi, nostro malgrado. Ed è uno stop illuminante. Non quello di un pedone ubriaco in mezzo all’autostrada, che vede intorno sfrecciar via le auto. Intorno a noi c’è un rallentamento globale, rumori attutiti, la vita è in brachicardia. E, finalmente, vedi cadere il velo di Maya e si svela una verità che conosci, hai sempre conosciuto: la caducità.
È con te dal momento in cui nasci, il gesto – pratico e simbolico – di tagliare il cordone ombelicale ne sottende un altro che si impara da subito a rimuovere, dimenticare, seppellire in migliaia di attività, parole, pensieri spesso inutili. Quel taglio accende la miccia, che brucia nel sottofondo della tua vita senza che niente, niente possa fermarla. Nessuno sa quanto sia lunga, quindi si fa finta che non esista. E si vive come se nulla fosse, come se non ci fosse un termine, rimandando molte cose a un domani che pensiamo certo, garantito, quasi obbligatorio. Eh, ma non lo è affatto. Quel bacio non dato, quelle scuse non dette, quel tramonto strepitoso che neanche abbiamo notato, quel libro non letto. Perché pensiamo che potremo farlo domani?

Stiamo vivendo un momento straordinario. Terribile, devastante, pauroso, incerto, difficile, ognuno lo sta affrontando con i suoi propri aggettivi. Ma di certo è straordinario nel senso più puro del termine, senza connotazioni positive o negative: fuori dall’ordinario. Non so quante probabilità ci possano essere di avere durante la propria esistenza un’occasione di questo tipo, pochissime comunque. Non possiamo farcela scappare. E allora guardiamola in faccia, questa caducità. Anzi, guardiamo le sue varie facce.
La prima che ci appare è la più inquietante, una roulette russa che decide chi resta a casa e chi finisce in ospedale. C’è chi in canna ha un colpo solo, chi ha riempito da solo il caricatore e si è messo la pistola in bocca ridendo.
Nel silenzio irreale di queste giornate, cominci a sentire la miccia crepitare, se ti giri di scatto intravedi a volte la scia che ha lasciato dietro di te. E allora vòltati a guardare l’altro volto della caducità, quello che è sempre in tutte le cose e che abbiamo evolutivamente imparato a ignorare. Dovevo portare la macchina da cucire a revisionare, ma non è urgente, posso farlo domani, ma anche la settimana prossima. Quella bellissima mostra ai Mercati di Traiano, prima o poi ci vado. È dalla gita scolastica di terza media che non entro nel Colosseo, e pensa, non ho mai visitato i Fori imperiali, ma tanto vivo a Roma, ci posso andare un qualunque momento.
In qualunque momento.
No.
Non è garantito che domani ci sia un domani. Non è certo che domani ci sia un Colosseo. Non è sicura una cosa così ovvia come la libertà di poter uscire di casa per andare a un museo.
Eppure continuiamo a vivere dando per scontato concetti come “dopo”, “domani”, “poi”. Andiamo avanti in un’apnea affollata di conti da far quadrare, lavatrici da riparare, colleghi da sopportare, documenti da compilare, auto da parcheggiare. Bruciamo pezzi irrecuperabili di miccia litigando con sconosciuti per motivi futili o inesistenti, rimanendo seduti nel traffico mentre mandiamo audiomessaggi, piazzando i figli davanti a un videogioco per poter lavare i piatti o finire un lavoro, facendo un sudoku e ammucchiando sul comodino i libri che un giorno leggeremo, sfrecciando sottoterra da una parte all’altra di una delle città più belle del mondo perché ci sono cose importantissime che dobbiamo fare, chiudendoci per una settimana nel casinò di una nave mentre a Pompei si sta polverizzando per sempre un ricordo della nostra civiltà, mentre Venezia affoga, mentre il polo si scioglie, mentre Notre Dame brucia.
Ora la giostra ha rallentato, si è fermata, possiamo scendere. Ci guarderemo attorno disorientati, non riconosciamo il paesaggio. Eppure siamo nella nostra casa, nella nostra strada, nella nostra vita. Ma ha altri suoni, altri colori, persino profumi. E ci siamo. Io, ci sono.
Domani è oggi.
La giostra ripartirà, con o senza di noi. Se ci saremo, porteremo un nuovo prezioso bagaglio, i frutti che siamo riusciti a cogliere di questo momento straordinario: gli attimi di eterno in cui abbiamo veramente vissuto, e la capacità di vedere la miccia senza paura, avendo imparato a distinguere tra le cose inutili e quelle importanti che meritano il nostro tempo prezioso.
C’è il sole che mi chiama. Prenderò la mia mascherina, il gel, e vado.
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